A 13 anni ha il tumore da fumo:<<è la diossina>>

21 ott 2008



Il medico: mai visto un caso così. Industrie, Taranto città più inquinata dell'Europa occidentale.
Tre mamme con il latte contaminato, cinque adulti con il livello più alto del mondo, 1.200 pecore da abbattere

TARANTO — Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una sigaretta in vita sua era già conciato come un fumatore incallito. Un caso simile, Patrizio Mazza, primario di ematologia all'ospedale «Moscati» di Taranto, non l'aveva mai visto. E nemmeno la letteratura medica internazionale lo contempla. Anche a cercare su Internet, la risposta è negativa: « No items found ». Per questo, Mazza temeva di avere sbagliato diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro da fumatore: adenocarcinoma del rinofaringe. Come tanti altri tarantini, specie quelli del Tamburi, «il quartiere dei morti viventi».

A Bruxelles forse ancora non lo sanno, ma Taranto è la città più inquinata d'Italia e dell'Europa occidentale per i veleni delle industrie. L'inquinamento di Taranto, infatti, è di fonte civile solo per il 7%. Tutto il resto, il 93%, è di origine industriale. A Taranto, ognuno dei duecentomila abitanti, ogni anno, respira 2,7 tonnellate di ossido di carbonio e 57,7 tonnellate di anidride carbonica. Gli ultimi dati stimati dall'Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) sono spietati. Taranto è come la cinese Linfen, chiamata «Toxic Linfen», e la romena Copša Miça, le più inquinate del mondo per le emissioni industriali.

Ma a Taranto c'è qualcosa di più subdolo. A Taranto c'è la diossina. Qui si produce il 92% della diossina italiana e l'8,8% di quella europea. «In dieci anni — dice Mazza — leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati del 30-40%. La diossina danneggia il Dna e un caso come quello di S. è un codice rosso sicuramente collegato alla presenza di diossina. Se nei genitori c'è un danno genotossico non è in loro che quel danno emerge, ma nei figli».

Tre mamme il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti che scoprono di avere il livello di contaminazione da diossina più alto del mondo, 1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina l'abbattimento, forti sospetti di contaminazione nel raggio di 10 chilometri dal polo industriale (con i monitoraggi sospesi perché sempre «positivi ») sono, più che un allarme, una emergenza nazionale. La diossina si accumula nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo di Seveso (la città contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze cancerogene e teratogene che, con la diossina, colpiscono Taranto come sette piaghe bibliche.

Mentre però a Bruxelles e a Roma (e a Bari, sede della Regione) si discute, Taranto viene espugnata dalla diossina. Basta dare un'occhiata, oltre che ai dati Ines, ai limiti di emissione, il cuore del problema. Il limite europeo è di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Quello italiano, di 100 nanogrammi. «Un vestito su misura per l'Ilva di Emilio Riva», dicono le associazioni ambientaliste. «Siamo in regola e abbiamo anche investito 450 milioni di euro per migliorare gli impianti», replica l'Ilva, che l'anno scorso ha realizzato utili per 878 milioni, 182 milioni in più dell'anno prima e il doppio del 2005.

L'Europa però è dal 1996 che ha fissato il limite di 0,4 nanogrammi. L'Inghilterra, per esempio, si è adeguata. E la Germania ha fatto ancora meglio: 0,1 nanogrammi, lo stesso limite previsto per gli inceneritori.

Nel 2006, Ilva e Regione Puglia hanno anche firmato un protocollo d'intesa, ma con scarsi risultati. La «campagna di ambientalizzazione» procede a rilento e sembra che l'Ilva intenda concluderla nel 2014, proprio quando scadrà il Protocollo di Aarhus, recepito anche dall'Italia, che impone ai Paesi membri di adottare le migliori tecnologie per portare le emissioni a 0,4-0,2 nanogrammi.

Eppure a Servola, Trieste, acciaierie «Lucchini», per risolvere il problema è bastato un decreto del dirigente regionale Ambiente e Lavori pubblici, che ha imposto al siderurgico, pena la chiusura, di rispettare i limiti europei. In due anni, grazie anche alle pressioni della confinante Austria, il miracolo: dalla maglia nera, in tandem con Taranto, Servola è diventata un centro di eccellenza, con la diossina abbattuta fino al teutonico limite di 0,1 nanogrammi.

Certo, con una legge regionale, o con un decreto come quello friulano, si eviterebbe anche il referendum sull'Ilva, giudicato ammissibile dal Tar di Lecce e sicura fonte di drammatiche spaccature fra i 13 mila dipendenti del siderurgico.
Invece c'è soltanto una delibera del consiglio comunale di Taranto che chiede timidamente alla Regione «di fare come in Friuli».
Ma la Puglia non confina con l'Austria. Al di là del mare, c'è l'Albania.

Tratto da Corriere della Sera, scritto da Carlo Vulpio


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Pubblicato da Faber alle 13:14  
2 commenti
Anonimo ha detto...

Io non riesco a non prendermela con chi qualche anno fa ha ottenuto il mio voto convinto, il buon Nichi Vendola che oggi fa da Marta e da Maddalena: un giorno si veste da padre comboniano no-global ed offre al popolo bue pillole di eco sostenibilità, magari invia al Presidente del Consiglio una lettera accorata per chiedere interventi sanatori della situazione, il giorno dopo però è in giacca e cravatta a rifilare la solita “sola” liberista su competitività e sistema Paese usando la leva occupazionale. Il poeta di Terlizzi potrebbe fare ma non fa: è un falso ideologico, un collaborazionista.

Questo è un Articolo che qualche giorno fa ho letto sul corriere del mezzogiorno, lo definirei “illuminante”.

Vendola contro il referendum «Impensabile chiudere l'Ilva»

L'iniziativa del Comitato Taranto Futura bocciata dal governatore Nichi Vendola «Il siderurgico di Taranto dà lavoro diretto o indiretto a 25mila famiglie; non si vince la sfida con la globalizzazione impugnando l'arma della pizzica. Senza la grande impresa non si va da nessuna parte. E' essenziale invece l'ambientalizzazione degli apparati produttivi nel capoluogo jonico dove più acuta è la crisi ambientale»
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
BARI — «Non si vince la sfida con la globalizzazione impugnando l'arma del bed & breakfast. Oppure l'artigianato. O anche la pizzica: tutti comparti che ci stanno a cuore e abbiamo finanziato. Ma senza l'industria, sia chiaro, non si va da nessuna parte». Il governatore Nichi Vendola parla nel corso della cerimonia, a Bari, per la stipula del protocollo di intesa a favore del distretto della meccatronica (l'elettronica applicata alla meccanica).
Approfitta della circostanza per schierarsi a favore dello sviluppo industriale ordinato ed «ecocompatibile». E, quasi a sorpresa, interviene sul dilemma che tormenta da anni la città di Taranto. Un dubbio tornato d'attualità, dopo che il Tar ha ordinato al Comune di Taranto di indire il referendum consultivo sulla possibilità di smantellare lo stabilimento siderurgico dell'Ilva. La posizione di Vendola è chiara, sebbene formulata con una domanda retorica: «Come si può pensare, in questa fase, di chiudere l'Ilva, che fornisce lavoro diretto o indiretto a 25mila famiglie »? Come si vede, più che un quesito è una risposta, inequivocabile, ai promotori del referendum.
Nella prevedibile campagna elettorale, il governatore si schiera per il no alla chiusura. Anzi, per essere più precisi ricalca la posizione espressa già domenica scorsa dall'assessore regionale all'Ecologia Michele Losappio. Non si tratta di aderire drasticamente al proposito dello smantellamento o della prosecuzione dell'attività siderurgica, quanto piuttosto di esigere garanzie di ecocompatibilità. Vendola lo dice: è essenziale «l'ambientalizzazione degli apparati produttivi». Riguarda la Puglia.
Riguarda a maggior ragione il capoluogo jonico dove più acuta è la crisi ambientale. L'industria, tuttavia, è essenziale. Su di essa, spiega il governatore, e sul settore primario (agricoltura) si deve continuare ad investire. Ma anche «sulla scienza e sull'università».
È la maniera per «combattere la recessione che sta arrivando» e per confermare le performance positive registrate dalla Pugla nell'export (+11,2% nel primo semestre '08) e nel Pil (l'Istat assegna alla Puglia un + 1,7% nel 2007, oltre la media nazionale e prima tra tutte le regioni meridionali). La scienza, gli investimenti nel sapere e adeguate politiche pubbliche che contrastino l'isolamento delle imprese e le collochino in filiera: questa la ricetta magica per Vendola e anche per l'assessore all'Economia Sandro Frisullo. Vale per il distretto dell'agroalimentare, dell'avionico, dell'energia alternativa e per le nanotecnologie.
Il distretto della meccatronica, il cui processo di costituzione è cominciato diversi mesi fa, è fondato su quei presupposti. Ieri è stato stipulato il protocollo di intesa tra la Regione e il consorzio Medis (Confinfustria, università e aziende del comparto) presieduto da rettore del Politecnico Salvatore Marzano. È stato quest'ultimo a sottolinearne alcuni aspetti significativi, come la norma che consente ai ricercatori universitari di essere impegnati direttamente nelle aziende per l'applicazione degli apparati concepiti e messi a punto dal distretto. Sono pronti, ha annunciato Marzano, due progetti per un totale di tre milioni. Ne sono capofila l'università di Bari e il Politecnico. Saranno presto finanziati dalla Regione. Il primo riguarda «i sensori e le microlavorazioni laser». Il secondo «modelli innovativi per sistemi meccatronici».

21 ottobre 2008 alle ore 16:39  
Anonimo ha detto...

quello di taranto non è un caso isolato: anche ad augusta vicino siracusa, stanno venendo fuori dati inquietanti sull'incidenza di un impianto (petrolchimico stavolta) sulla salute degli abitanti. questo video ne è una testimonianza.

26 ottobre 2008 alle ore 18:43  

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