La morte ha i vostri occhi
5 mar 2008
Signori della politica, mi rivolgo a voi. E lo faccio vincendo la nausea.
Vi state accorgendo adesso, disturbati nei vostri interessi ben radicati da tutt’altra parte, che si muore sul lavoro. Non le morti occasionali, quelle che capitano perché c’est la vie: la nostra è una strage che avviene quasi con meticolosità. Ormai è un bollettino di guerra giornaliero e la guerra si può cavalcare: tutto fa brodo.
Così, nessuno di voi perde occasione per levare alta e forte la propria voce in difesa di questi lavoratori, soprattutto in questa primavera incipiente che prelude al momento cruciale del vostro progetto di statisti: le elezioni, quelle che vi daranno il viatico per continuare ad agire come avete fatto da sempre.
E mi rivolgo a voi, sindacalisti, che mandate in piazza migliaia di poveracci per un aumento di quattro soldi di salario o per farli smettere di lavorare il più presto possibile. Anche per voi il mio stomaco non sta meglio.
E pure a voi, signori degli enti di controllo, mi rivolgo. Che diavolo state a fare? Siete
in un esercito che soverchia quello dei vostri omologhi in ogni paese civile (L’ARPA Emilia Romagna ha il doppio dei dipendenti dell’equivalente struttura che copre tutta l’Austria) e l’unica vostra attività pare essere quella di fare la riverenza ai politici del “tutto va bene.”
Per motivi professionali io visito fabbriche e impianti, dalle fonderie agl’inceneritori, e in queste visite vedo cose che voi umani… Ho detto umani. Vedo uomini che camminano come fossero acrobati del circo sospesi chissà dove senza il minimo accorgimento di sicurezza. Vedo uomini che maneggiano veleni, soprattutto polveri - perché il mio mestiere è quello di occuparmi di questo - che non indossano guanti né copricapo né maschera né indumenti dedicati e che poi se ne tornano a casa con quegli stessi vestiti addosso, avvelenando chi vive con loro. Vedo uomini che versano le cose più schifose nei corsi d’acqua, che le nascondono sotto un palmo di terreno, che le trasportano di notte perché qualcun altro le nasconda dove si resta impuniti (cioè dappertutto) e questa roba finisca nell’aria, nell’acqua, negli alimenti, nei nostri organismi e in quelli dei nostri figli. Vedo medici di fabbrica che nascondono le malattie professionali.
Si muore di lavoro, cari signori che da noi venite lautamente pagati, e voi, da bravi avvoltoi bulimici, cercate un po’ di nutrimento anche da quei cadaveri. Cadaveri fortunati, a ben pensarci, perché per chi non muore di morte violenta voi avete preparato una lunghissima agonia grazie alla società che avete allestito. Non lo avete fatto apposta: all’inizio era solo un effetto collaterale. Poi vi siete accorti che ci s’ingrassa anche con queste malattie, con il business ricchissimo della prevenzione che da noi, quando va bene, è quella secondaria (diagnosi precoce, tanti esami e tanti farmaci) e non primaria (non ammaliamoci).
Ormai da tempo immemorabile voi politici - ma nel sindacato e negli enti di controllo le cose non vanno poi tanto tanto meglio - vi siete mineralizzati sulle vostre poltrone, non eccezionalmente passatevi dai vostri padri o regalatevi da qualche consanguineo o socio, e da lì gestite gli affari vostri, ché della politica, quella vera, quella della gestione saggia della casa comune, si è persa ogni memoria. Voi che ora tuonate su queste morti, dove eravate negli ultimi quarant’anni?
La domanda che mi si pone spesso quando sono all’estero è come sia possibile che, di fronte ad uno sfacelo tanto palese, gl’italiani continuino a portarvi il loro consenso e, a quanto pare, ad aprile il trionfo si ripeterà. La risposta è sempre molto articolata e un po’ faticosa, perché altrove è difficile penetrare la mentalità nostrana, ma noi i motivi li conosciamo tutti: la ragnatela d’interessi che siete stati capace di tessere coinvolgendo milioni di quelli che sono al contempo vostre vittime e vostri complici, e l’ignoranza.
Se sul punto uno non mi soffermo. È sull’ignoranza che insisto. Nelle fabbriche e negl’impianti nessuno istruisce i lavoratori. I corsi che si fanno esistono solo sui documenti ufficiali e, se mi capita di fare domande sia agli operai sia a chi li dirige, e mi riferisco a domande semplicissime su ciò che maneggiano e su come lo fanno, la reazione è identica: mi guardano con la faccia da pesce lesso. D’ignoranza si muore, cari signori, e voi, pur nella vostra ignoranza, lo avete sempre saputo.
Ma l’ignoranza è l’ingrediente di base per mantenere i vostri troni, di qualunque fattura e dimensione essi siano. Ed è così che i vari Augias, Vespa, Mentana, Tozzi, Angela, Fazio e gli altri guitti del carro di Tespi, confortati dalle esternazioni dell’ineffabile Veronesi sponsorizzato Veolia e capace di parlare di tutto con identica spocchia e incompetenza, si scatenano.A questo punto ci si aspetterebbe l’intervento muscoloso dei sindacati. E invece, no. Anzi, quando io cerco, come posso, di fare un po’ di cultura e di spingere i datori di lavoro a migliorare le condizioni di sicurezza, sono proprio i sindacati, ben prima dei mitici “padroni”, a darmi addosso, addirittura mandando in piazza i lavoratori il cui posto di lavoro si presume messo a repentaglio (!) e non disdegnando minacce personali (vedi il caso di Raoul Mantini a Gualdo Cattaneo).
Ma bisognerebbe dare un’occhiata ai documenti che mi capitano sotto mano per accorgersi di ciò che fanno gli enti di controllo. Magari facessero niente! Il problema è che non è raro trovarli molto “ben disposti” verso chi dovrebbero controllare.
E, da ultimo, cari politici, al di là di chi avete “messo a posto” in cambio dei voti di tutta la famiglia, se non sarete cacciati come si farebbe in qualsiasi paese civile, ringraziate i filosofi del non voto. Saranno milioni. Milioni d’ipocriti, d’ignoranti e di psicolabili uniti i un unico esercito al seguito di qualche pifferaio magico che avranno trovato giustificazione ideologica alla loro viltà, alla loro totale mancanza di conoscenza politica, al loro senso civico assente. Scusate, signori del non voto, ma io non ho l’ipocrisia del politico consumato e non riesco a non dirvi che provo orrore di voi. Scusatemi.
Vi state accorgendo adesso, disturbati nei vostri interessi ben radicati da tutt’altra parte, che si muore sul lavoro. Non le morti occasionali, quelle che capitano perché c’est la vie: la nostra è una strage che avviene quasi con meticolosità. Ormai è un bollettino di guerra giornaliero e la guerra si può cavalcare: tutto fa brodo.
Così, nessuno di voi perde occasione per levare alta e forte la propria voce in difesa di questi lavoratori, soprattutto in questa primavera incipiente che prelude al momento cruciale del vostro progetto di statisti: le elezioni, quelle che vi daranno il viatico per continuare ad agire come avete fatto da sempre.
E mi rivolgo a voi, sindacalisti, che mandate in piazza migliaia di poveracci per un aumento di quattro soldi di salario o per farli smettere di lavorare il più presto possibile. Anche per voi il mio stomaco non sta meglio.
E pure a voi, signori degli enti di controllo, mi rivolgo. Che diavolo state a fare? Siete
in un esercito che soverchia quello dei vostri omologhi in ogni paese civile (L’ARPA Emilia Romagna ha il doppio dei dipendenti dell’equivalente struttura che copre tutta l’Austria) e l’unica vostra attività pare essere quella di fare la riverenza ai politici del “tutto va bene.”
Per motivi professionali io visito fabbriche e impianti, dalle fonderie agl’inceneritori, e in queste visite vedo cose che voi umani… Ho detto umani. Vedo uomini che camminano come fossero acrobati del circo sospesi chissà dove senza il minimo accorgimento di sicurezza. Vedo uomini che maneggiano veleni, soprattutto polveri - perché il mio mestiere è quello di occuparmi di questo - che non indossano guanti né copricapo né maschera né indumenti dedicati e che poi se ne tornano a casa con quegli stessi vestiti addosso, avvelenando chi vive con loro. Vedo uomini che versano le cose più schifose nei corsi d’acqua, che le nascondono sotto un palmo di terreno, che le trasportano di notte perché qualcun altro le nasconda dove si resta impuniti (cioè dappertutto) e questa roba finisca nell’aria, nell’acqua, negli alimenti, nei nostri organismi e in quelli dei nostri figli. Vedo medici di fabbrica che nascondono le malattie professionali.
Si muore di lavoro, cari signori che da noi venite lautamente pagati, e voi, da bravi avvoltoi bulimici, cercate un po’ di nutrimento anche da quei cadaveri. Cadaveri fortunati, a ben pensarci, perché per chi non muore di morte violenta voi avete preparato una lunghissima agonia grazie alla società che avete allestito. Non lo avete fatto apposta: all’inizio era solo un effetto collaterale. Poi vi siete accorti che ci s’ingrassa anche con queste malattie, con il business ricchissimo della prevenzione che da noi, quando va bene, è quella secondaria (diagnosi precoce, tanti esami e tanti farmaci) e non primaria (non ammaliamoci).
Ormai da tempo immemorabile voi politici - ma nel sindacato e negli enti di controllo le cose non vanno poi tanto tanto meglio - vi siete mineralizzati sulle vostre poltrone, non eccezionalmente passatevi dai vostri padri o regalatevi da qualche consanguineo o socio, e da lì gestite gli affari vostri, ché della politica, quella vera, quella della gestione saggia della casa comune, si è persa ogni memoria. Voi che ora tuonate su queste morti, dove eravate negli ultimi quarant’anni?
La domanda che mi si pone spesso quando sono all’estero è come sia possibile che, di fronte ad uno sfacelo tanto palese, gl’italiani continuino a portarvi il loro consenso e, a quanto pare, ad aprile il trionfo si ripeterà. La risposta è sempre molto articolata e un po’ faticosa, perché altrove è difficile penetrare la mentalità nostrana, ma noi i motivi li conosciamo tutti: la ragnatela d’interessi che siete stati capace di tessere coinvolgendo milioni di quelli che sono al contempo vostre vittime e vostri complici, e l’ignoranza.
Se sul punto uno non mi soffermo. È sull’ignoranza che insisto. Nelle fabbriche e negl’impianti nessuno istruisce i lavoratori. I corsi che si fanno esistono solo sui documenti ufficiali e, se mi capita di fare domande sia agli operai sia a chi li dirige, e mi riferisco a domande semplicissime su ciò che maneggiano e su come lo fanno, la reazione è identica: mi guardano con la faccia da pesce lesso. D’ignoranza si muore, cari signori, e voi, pur nella vostra ignoranza, lo avete sempre saputo.
Ma l’ignoranza è l’ingrediente di base per mantenere i vostri troni, di qualunque fattura e dimensione essi siano. Ed è così che i vari Augias, Vespa, Mentana, Tozzi, Angela, Fazio e gli altri guitti del carro di Tespi, confortati dalle esternazioni dell’ineffabile Veronesi sponsorizzato Veolia e capace di parlare di tutto con identica spocchia e incompetenza, si scatenano.A questo punto ci si aspetterebbe l’intervento muscoloso dei sindacati. E invece, no. Anzi, quando io cerco, come posso, di fare un po’ di cultura e di spingere i datori di lavoro a migliorare le condizioni di sicurezza, sono proprio i sindacati, ben prima dei mitici “padroni”, a darmi addosso, addirittura mandando in piazza i lavoratori il cui posto di lavoro si presume messo a repentaglio (!) e non disdegnando minacce personali (vedi il caso di Raoul Mantini a Gualdo Cattaneo).
Ma bisognerebbe dare un’occhiata ai documenti che mi capitano sotto mano per accorgersi di ciò che fanno gli enti di controllo. Magari facessero niente! Il problema è che non è raro trovarli molto “ben disposti” verso chi dovrebbero controllare.
E, da ultimo, cari politici, al di là di chi avete “messo a posto” in cambio dei voti di tutta la famiglia, se non sarete cacciati come si farebbe in qualsiasi paese civile, ringraziate i filosofi del non voto. Saranno milioni. Milioni d’ipocriti, d’ignoranti e di psicolabili uniti i un unico esercito al seguito di qualche pifferaio magico che avranno trovato giustificazione ideologica alla loro viltà, alla loro totale mancanza di conoscenza politica, al loro senso civico assente. Scusate, signori del non voto, ma io non ho l’ipocrisia del politico consumato e non riesco a non dirvi che provo orrore di voi. Scusatemi.
Di Stefano Montanari
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