Come va oggi?

9 ott 2008

Credo non ci siano dubbi: questo non è di sicuro uno dei momenti d’oro del nostro pianeta.

In vent’anni abbiamo sporcato l’ambiente, e in modo a volte irreversibile, più di quanto non abbiamo fatto nel paio di milioni d’anni precedenti. Qualunque ne sia la causa, il mondo si sta desertificando, l’acqua potabile diventa sempre meno disponibile (e quella poca la stiamo avvelenando di buona lena), e l’aria la stiamo riempiendo d’inquinanti di cui non abbiamo la minima esperienza ma di cui sappiamo che saranno almeno in parte duraturi quanto la Terra stessa, lo gradisca o no qualche genio che spande il suo sapere nelle nostre luminose università. La trentina di guerre in corso qua e là non solo fa massacri ma sta mangiando risorse preziose, le riserve energetiche alle quali ci siamo ingenuamente rivolti si stanno esaurendo, così come era chiaro sarebbe stato dalla lettura di qualsiasi manuale di fisica, il suolo si sta impoverendo a causa dell’uso dissennato di concimi chimici che gli restituiscono solo parzialmente le sostanze necessarie, i prodotti alimentari sono sempre più sporchi e sempre meno nutrienti… Al di là delle sofferenze fisiche che ognuno di noi subirà o sta già subendo, un altro guaio sta interessando il nostro pianeta o, almeno, la sua parte più ricca, perché quella più povera difficilmente andrà peggio di come va da sempre. L’economia che tronfiamente avevamo pensato inossidabile si sta sciogliendo come neve al sole. Ci si accorge che abbiamo trattato la carta straccia come qualcosa di valore, che abbiamo vissuto parecchio sopra le nostre possibilità chissà da quando e adesso è arrivato l’inevitabile redde rationem.

D’altra parte, se il modello capitalistico aveva retto finora ballando sul filo, il modello comunista, almeno altrettanto inapplicabile, era durato davvero lo spazio di un mattino. Dunque, saremo tutti più poveri. A questo punto, bisogna che ci diamo la sveglia. Dal momento che di ricchezza ce ne sarà molto meno a disposizione, non possiamo più permetterci certe distrazioni. Restando a casa nostra, lo stato è palesemente sull’orlo della bancarotta. Diverse tredicesime di statali sono a serio rischio, i fornitori degli enti di stato non vengono pagati, si tagliano i fondi alla scuola, alla ricerca e alla sanità e, dunque, siamo già in condizioni drammatiche, anche se i monologhi del nostro imbarazzante primo ministro riescono ancora ad anestetizzare più di qualcuno. Ma, anestesia o no, i fatti sono quelli. Eppure, sulla soglia della bancarotta come oggettivamente siamo, a nessuno dei nostri timonieri è venuto in mente di rinunciare ai progetti più demenziali o anche solo di accantonarli momentaneamente, tesi come sono, e del tutto visibilmente a chi è ancora in stato di veglia, alla rapina delle croste di pane che restano ancora nelle nostre tasche.

Vorrei dire a questi personaggi che non conviene neppure a loro non fermarsi un attimo. È vero che chi è in quelle condizioni non agisce come agisce chi lo fa per necessità ma per una patologia inguaribile che si chiama avidità, però, se ci pensassero un attimo, non potrebbero altro che costatare come la riserva di caccia si sia impoverita a tal punto da lasciare ben poca possibilità di bottino e, dunque, sarebbe saggio consentire che questa si rimpolpasse almeno un po’. Insomma, un morto non rende nulla.
Più nello specifico, vorrei chiedere all’onorevole Antonio Di Pietro che tanto ama vestire i panni di scena del moralizzatore ed è così abile nel mobilitare le piazze, di fare appello alla sua furbizia contadina. Se, in questo momento, rinunciasse a tutto quanto sta dietro le cosiddette Grandi Opere, quelle che tanto eccitano il suo accolito onorevole Aurelio Misiti, dal Ponte sullo Stretto al MOSE, dal TAV agl’inceneritori, e dicesse: “Fermi tutti: non ce lo possiamo permettere,” riscuoterebbe un successo enorme. Questo soprattutto da parte di quei ragazzotti non del tutto rincoglioniti che si trovano in grande imbarazzo quando li si mette con il naso davanti a certe incongruenze come, tanto per non fare che un esempio, lo strepitare contro gl’inceneritori per poi farsene quatto quatto untuoso paladino. Impossibile sperare che le grida in piazza ottundano per sempre tutti i cervelli: prima o poi a qualcuno scoccherà la scintilla. Naturalmente una presa di posizione del genere non cancellerebbe all’antico pulitore di mani ipso facto le tante ombre, ma sono certo che, quanto meno, gli raddoppierebbe i consensi, il che comporta tante cose che piacciono alle persone del giro.

Da ultimo, vorrei pregare, in questo momento di tempesta, i mezzi di comunicazione di diventare più responsabili e di smetterla con le sciocchezze. Tanto per non fare che un piccolissimo esempio delle bufale che questi ci propinano, il 2 ottobre scorso il giornale Repubblica uscì con un articolo intitolato “Il barbecue inquina più dell'auto” in cui una tale Sara Ficocelli, giornalista, riferiva degli studi di Kenneth Docherty, dell’Università di Boulder, in Colorado. Subito qualcuno m’interpellò a proposito di certe affermazioni e io risposi che forse la signora Ficocelli non aveva capito bene.

Mi figlio Giorgio si è messo in contatto con Docherty e i due si sono scambiati qualche mail da cui risulta chiara la sorpresa dello studioso che si duole di come i risultati delle ricerche, quando questi vanno in mano ad un giornalista, escano diversi da come sono entrati.
Il fatto non è per niente isolato e basta prendere qualsiasi rotocalco o giornale quotidiano per trovarvi disseminate assurdità dall’ingenuo al ridicolo. Tutto questo serve a generare degli “esperti” che, poi, infestano i blog e si permettono di controbattere spericolatamente dati di ricerca inconfutabili e, curiosamente, questi esperti sono del tutto funzionali al mantenimento del regime.

Dunque, cari media, basta con queste pillole di scienza che non siete in grado di somministrare.A tutti, di conseguenza, l’invito a non leggere più quella roba e a consultare, invece, fonti attendibili per acquisire la capacità critica utile almeno a capire chi ce la dice giusta e chi, invece, ci racconta balle. Se saremo capaci di arrivare a quel punto così temuto dai nostri politici, una bella fetta dei nostri problemi scomparirà sul serio e non come l’immondizia arrosto dell’inceneritore.

scritto da Stefano Montanari

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Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.



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Pubblicato da Faber alle 16:33  
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